Previdenza complementare, cos’è e a cosa serve

La previdenza complementare vuole integrare fondi pensionistici per i lavoratori a quelli garantiti dalle forme di previdenza obbligatorie, a causa della scarsità dei secondi

La previdenza complementare, disciplinata dal D.lgs. 5 dicembre 2005 n. 252, rappresenta il secondo pilastro del sistema pensionistico il cui scopo è quello di integrare la previdenza di base obbligatoria o di primo pilastro.

Essa ha come obiettivo quello di concorrere ad assicurare al lavoratore, per il futuro, un livello adeguato di tutela pensionistica, insieme alle prestazioni garantite dal sistema pubblico di base, da integrare quindi ai sistemi obbligatori.

In questo articolo capiamo insieme come funziona.

L’obiettivo della previdenza complementare

Con la formula “previdenza complementare” si intende un sistema di fondi pensione e assicurazioni private (a carattere collettivo o individuale) nate dalla metà degli anni ’90 che affiancano – e non sostituiscono – le gestioni previdenziali pubbliche o private (che restano obbligatorie).

In definitiva le forme di previdenza complemetare hanno l’obiettivo di rispondere al progressivo ed inesorabile impoverimento della pensione pubblica frutto delle riforme degli ultimi decenni.

L’adesione è facoltativa

Lo scopo di questi fondi, la cui adesione è facoltativa per il lavoratore (anche se incentivata fiscalmente), è integrare le prestazioni previdenziali al compimento, di regola, dei requisiti per la pensione previsti in ciascun regime assicurativo a condizione che siano maturati almeno 5 anni di partecipazione a forme pensionistiche complementari.

Perché esiste questo sistema?

Il sistema contributivo, esteso nei confronti di tutti i lavoratori con la riforma del 2011, non potrà infatti garantire rendite previdenziali adeguate ed in linea con gli ultimi stipendi percepiti dagli assicurati.

Con questo metodo si è perso ormai l’aggancio dell’importo della pensione all’ultima retribuzione percepita dato che vengono presi in considerazione solo i contributi effettivamente versati dal lavoratore e dal datore di lavoro nel corso dell’intera vita lavorativa del soggetto. Il tasso di sostituzione tra reddito da lavoro e reddito da pensione è quindi destinato a ridursi per forza.

Come funziona la previdenza complementare?

La previdenza complementare è basata su un sistema di forme pensionistiche incaricate di raccogliere il risparmio previdenziale mediante il quale, al termine della vita lavorativa, si potrà beneficiare di una pensione integrativa.

La posizione individuale del lavoratore risulta costituita dai contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro alla forma pensionistica complementare e dai rendimenti ottenuti, al netto dei costi, attraverso l’investimento sui mercati finanziari dei contributi stessi.

Essa è ovviamente collegata, oltre che all’ammontare dei contributi versati e dei rendimenti ottenuti, alla durata del periodo di versamento.

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Come viene determinata la rendita?

In queste forme di assicurazioni la rendita viene determinata, a differenza del sistema obbligatorio il cui importo dipende in larga misura dalla retribuzione o reddito percepito annualmente dal lavoratore, da tre fonti. Il primo è costituito dall’importo versato dall’assicurato mediante il contributo personale annuale e dal versamento del Tfr maturando; il secondo è costituito dal contributo del datore di lavoro (se presente); e il terzo è determinato dai rendimenti del fondo pensione (e può oscillare in base al profilo di rischio/rendimento scelto dal lavoratore).

Comune denominatore per questi sistemi previdenziali complementari è la presenza di un sistema a capitalizzazione nel quale, a differenza del sistema a ripartizione tipico dell’assicurazione pubblica, i versamenti dei lavoratori restano nominativi e vengono investiti dai fondi per creare la rendita futura dello stesso soggetto.

Le agevolazioni derivanti dal sistema

Sono previste, inoltre, una serie di agevolazioni fiscali, riconosciute anche a favore dei familiari fiscalmente a carico, che rappresentano una ulteriore opportunità di risparmio.

Come enunciato nell’art. 2 del D.lgs. n. 252/2005 destinatari dei fondi pensione sono:

  • i lavoratori dipendenti, privati e pubblici;
  • i soci lavoratori e i lavoratori dipendenti di società cooperative di produzione e lavoro;
  • i lavoratori autonomi e i liberi professionisti;
  • persone che svolgono lavori non retribuiti in relazione a responsabilità familiari;
  • lavoratori con un’altra tipologia di contratto (ad es. un lavoratore a progetto o occasionale).

Quali sono le forme pensionistiche complementari?

Sono forme pensionistiche complementari: i fondi pensione negoziali, i fondi pensione aperti, i piani individuali pensionistici e i fondi pensione preesistenti.

  • I fondi chiusi (art. 3 del D.lgs. 252/2005) di origine “negoziale”, sono forme pensionistiche complementari istituite dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro nell’ambito della contrattazione nazionale, di settore o aziendale.
  • I fondi aperti (art. 12 del D.lgs. 252/2005) sono forme pensionistiche complementari istituite da banche, imprese di assicurazioni, società di gestione del risparmio (SGR) e società di intermediazione mobiliare (SIM).
  • I Piani pensionistici individuali (PIP) (art. 13 del D.Lgs. 252/2005), rappresentano i contratti di assicurazione sulla vita con finalità previdenziale. Le regole che li disciplinano non dipendono solo dalla polizza assicurativa ma anche da un regolamento basato sulle direttive della COVIP. Lo scopo è garantire all’utente gli stessi diritti e prerogative analoghi alle forme pensionistiche complementari.
  • I fondi pensione preesistenti. Si tratta dei fondi pensione già esistenti al 15 novembre 1992, ovvero prima del Decreto legislativo del 21 aprile 1993, n. 124 (provvedimento abrogato dal D.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252) che ha istituito la previdenza complementare. Questi fondi hanno caratteristiche proprie che li distinguono dai fondi istituiti successivamente. Possono, ad esempio, gestire direttamente le risorse senza ricorrere a intermediari specializzati. Si tratta di Fondi collettivi per i quali l’adesione dipende da accordi o contratti aziendali o interaziendali.

La regolamentazione della gestione degli investimenti

Secondo l’articolo 6 del D.lgs. 252/2005, le forme pensionistiche complementari, nella gestione degli investimenti, sono tenute al rigoroso rispetto di regole di prudenza, definite per legge.

Tali regole devono tener conto della finalità previdenziale e non speculativa dell’investimento stesso. Inoltre tutti gli investimenti devono essere adeguatamente diversificati ed effettuati tenendo conto dei limiti indicati dalla normativa in vigore.

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Chi paga queste pensioni?

Il finanziamento delle forme pensionistiche complementari è a carico del lavoratore destinatario della prestazione e, in caso di rapporto di lavoro dipendente, in parte anche a carico del datore di lavoro.

Inoltre, i lavoratori dipendenti possono decidere di integrare i versamenti contributivi anche mediante il conferimento al Fondo del trattamento di fine rapporto (TFR).

I requisiti di questo tipo di pensione

Il diritto alla prestazione pensionistica si acquisisce al momento della maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni stabiliti nel regime obbligatorio di appartenenza, con almeno cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari.

Le fonti costitutive possono prevedere la facoltà da parte dell’assicurato di chiedere la liquidazione della prestazione pensionistica in capitale entro il limite del 50% del montante finale accumulato.

Si può anticipare la pensione in alcuni casi

Agli iscritti al fondo è data la possibilità di chiedere, nei limiti previsti dalle fonti costitutive, un’anticipazione delle prestazioni per eventuali spese sanitarie, per l’acquisto della prima casa per sé o per i figli e per la realizzazione degli interventi, seguendo le disposizioni della Legge 5 agosto 1978, n. 457 e della Legge 27 dicembre 1997, n. 449.

L’anticipazione può, inoltre, essere richiesta per altre cause nel limite del 30% della posizione maturata. Dopo due anni di adesione ad un fondo è possibile chiedere il trasferimento della posizione maturata presso altro fondo pensionistico complementare.

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