Che impatto hanno i confini chiusi sulle rotte dei migranti?

In tutto il mondo si chiudono i confini ai migranti, ma che effetto ha?

Dall’Europa all’Africa fino in America, in tutto il mondo si chiudono i confini ai migranti. La paura dell’immigrazione di massa mette i governi sulla difensiva, porta ad accuse nei confronti dei Paesi confinanti. Una situazione che si aggrava progressivamente anche per colpa del cambiamento climatico. Ma che effetti ha sulle rotte di migrazione questa politica di chiusura?

Tutti i confini chiusi del mondo

L’immigrazione fa paura. È al centro di molti dibattiti politici in giro per il mondo e spesso la soluzione più apprezzata dagli elettori sembra essere quella di chiudere i confini. In Europa abbiamo diversi esempi di questo tipo di approccio, sia dentro che fuori l’Unione Europea.

La notizia più recente riguardo la chiusura di confini è quella del blocco dei 5 varchi posti su altrettante strade che varcano la lunghissima linea che divide Finlandia e Russia. Il governo di Helsinki ha infatti fermato gli arrivi, accusando Mosca di dirigere migranti stranieri verso il Paese per destabilizzarlo. Un’accusa mossa già dalla Polonia ad un alleato molto stretto del Cremlino, la Bielorussia.

Secondo Varsavia, Mosca organizzava aerei in partenza dalla Siria e da altri luoghi del Medio Oriente dove la Russia aveva una presenta militare significativa, per portare rifugiati sfollati dalla lunga guerra civile che infuria da anni nel Paese fino in Russia. Da qui i siriani venivano quindi diretti verso i confini finlandesi e polacchi, nella speranza che un afflusso straordinario di persone verso Stati non abituati a questo tipo di immigrazione potesse destabilizzare i Governi che più si oppongono al Cremlino.

I confini europei si sono però rafforzati soprattutto dopo Brexit. Il referendum che nel 2016 fece uscire il Regno Unito dall’UE ha permesso al governo di Londra di attuare controlli severi alle frontiere. Questo non ha però rallentato il flusso di migranti che dalla Francia tentano di attraversare il canale della Manica. I respingimenti sono complicati a causa delle leggi internazionali, quindi il governo inglese ha trovato metodi alternativi. Due in particolari sono stati molto criticati.

Migranti attraversano una strada in Sudan
Pixabay @Combonianos_Brasil | 20maggiosenzamuri.it

Il primo è stato la costruzione di un centro per migranti galleggiante. Un’enorme chiatta che ospita decine di persone che arrivano illegalmente in Inghilterra. L’altra è stata l’iniziativa della ormai ex ministra degli Esteri Suella Bravermann. Il piano era quello di portare i migranti in un Paese considerato sicuro, ma molto remoto: l’Uganda. Un piano per lo più fallito e che ha portato alla sostituzione della ministra con David Cameron, ex primo ministro britannico che si dimise dopo il referendum per Brexit.

Anche l’Italia ha di recente rafforzato i controlli ai confini. Dopo l’attentato di Bruxelles Palazzo Chigi ha sospeso il trattato di Schengen al confine sloveno. Si tratta dell’accordo che permette la libera circolazione delle persone in UE. Ristabiliti i controlli alla frontiera, il Governo spera di frenare gli arrivi via terra della cosiddetta “Rotta balcanica”, che porta i migranti dalla Turchia fino in Nord Europa attraverso Grecia, Serbia, Croazia e Slovenia.

Spesso però i rifugiati non si spostano di migliaia di chilometri e rimangono nelle regioni più vicine alla loro patria di origine, nella speranza di tornare. Così si creano situazioni come quella del Libano, in cui ben un abitante su 4 è considerato un rifugiato. Trovandosi al confine sia con Israele che con la Siria, Beirut si è trovata ad accogliere prima gli sfollati palestinesi nel corso delle varie guerre che nel secolo scorso hanno coinvolto la regione e poi quelli siriani. La situazione è degenerata dal 2019, con un aumento della violenza e della disoccupazione dopo l’esplosione che ha devastato il porto della capitale.

Come la chiusura dei confini influenza le rotte dei migranti

Nell’ultimo decennio la chiusura dei confini è stata la soluzione più utilizzata per contrastare l’afflusso di migranti verso un determinato Paese. Dal muro con il Messico di Donald Trump, mai completato, al blocco navale più volte invocato verso le coste del Nord Africa da vari politici italiani, il risultato di queste iniziative sembra però essere sempre lo stesso. Chiudere ermeticamente i confini non sembra possibile. Fermare l’arrivo di migranti irregolari, in presenza di movimenti di massa molto grandi, è un’impresa che nessuno Stato sembra in grado di compiere.

Per questa ragione spesso si cerca di fermare i migranti prima del proprio confine. Nascono così alcuni accordi bilaterali, come quello con la Turchia e con la Libia. La base di queste trattative è che, in cambio di denaro, mezzi o altri vantaggi, un Paese si impegna a “regolare” i flussi di migranti diretti verso un altro Stato. Il primo esempio è stato proprio l’accordo con Ankara, per bloccare l’afflusso di migranti verso la rotta balcanica.

La Turchia, in cambio di ingenti fondi, si impegnava a limitare l’afflusso di rifugiati provenienti soprattuto da Siria, Iraq e Afganistan, trattenendoli sul proprio territorio. Il risultato è stato una limitazione dei flussi, soprattutto verso la Grecia. L’obiettivo finale però, la chiusura della rotta balcanica, è fallito. Tutt’ora centinaia di persone attraversano la regione a piedi verso il Nord Europa. Tanto è vero che l’Italia ha stabilito controlli al confine con la Slovenia.

Altro accordo esemplare e dalle conseguenze umanitarie peggiori è quello dell’Italia con la Libia. In cambio della fornitura di motovedette alla cosiddetta guardia costiera libica e di altri fondi, molti Governi italiani, dal Governo Renzi in poi, hanno permesso alle milizie del Paese di trattenere i migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana. Secondo molte associazioni umanitarie, questo ha creato condizioni disastrose per i rifugiati che si ritrovano ad arrivare il Libia. Le milizie sono accusate di aver creato campi di prigionia. In questi luoghi i migranti verrebbero torturati e costretti a lavorare per anni prima di trovare un passaggio via mare verso l’Italia.

Giubbotti di salvataggio e gommoni distrutti dopo uno sbarco di migranti
Pixabay @jdblack | 20maggiosenzamuri

La chiusura dei confini in conclusione crea quindi molto spesso una riduzione dei flussi, ma quasi mai li arresta del tutto. Una delle conseguenze più comuni è invece un aumento delle sofferenze per i migranti che si ritrovano sulle rotte interessate da questi cambiamenti.

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